Cronaca (un fatto privato)
Non so bene che titolo dare a questo post. Avevo pensato: “Quando un fatto di cronaca entra nel privato” oppure “Cronaca vs Privato“, ma ancora non rende quello che mi è successo in quest’ultimo mese.
Penserò in corso d’opera a un titolo più adeguato.
Quando apri il giornale, e fra le varie notizie leggi il nome della tua migliore amica legato a un fatto di cronaca tragico, la prima reazione è di incredulità . La mente non accetta quello che legge, e cerca alternative meno dolorose all’apprendimento di quell’evento: come un caso di omonimia, un refuso di stampa; nonostante tutti i dettagli confermano il dato, la mente rifiuta di accettarlo.
Successivamente si alternano dolore (perpetuo), rabbia (verso chi, poi?), accettazione (forse), rassegnazione (dipende), and so on…
Logicamente l’elaborazione di un lutto è un fatto prettamente personale, e non starò qui a descrivere come sto cercando di superare io questo momento.
La cosa che mi ha colpito di più, in questi giorni, è stata un’altra. La cronaca.
A chi mi chiedeva i motivi del mio stato d’animo, raccontavo brevemente l’accaduto, cercando di non entrare nei dettagli, sia perché lo consideravo (e considero) un fatto privato, sia per l’atrocità di quello che è successo alla mia amica e al marito.
Per assurdo, tutti ricollegavano con quell’evento di cronaca, letto sul giornale. Anche se fornivo pochi tasselli, tutti riuscivano a ricollegare la scomparsa della mia migliore amica con un incidente talmente cruento che è riuscito a rimanere nella memoria di molti (appunto per la sua fatalità , assurdità e atrocità ).
In quei momenti vedevo la gente inorridire e riempirsi di dolore ed empatia nei miei confronti.
Osservavo tutti, i loro volti, le loro reazioni, cercando di capire in cosa il loro dolore fosse diverso dal mio (oltre che all’intimità che avevo con i due poveri protagonisti della mia vita e di quel tragico evento).
Una notizia del genere rimane impressa. Uno cerca di immedesimarsi in quello che è accaduto, e subito ne avverte l’atrocità . Accade anche a me, quando leggo di cose che mi turbano in maniera particolare.
Ma in questo momento, per me che li conoscevo, la cosa era nettamente diversa.
Non erano 2 nomi sul giornale, o un grado di separazione da me: erano due volti, due sorrisi, due anime belle, una marea di ricordi in comune, due corpi da abbracciare, due voci squillanti, tante risate. Quello che per gli altri erano solo due nomi in un articolo di giornale, per me era un mondo intero… un mondo andato in cenere, interrotto tragicamente e per una assurda serie di coincidenze. Interrotto nel momento più bello: quando si hanno ancora sogni, energia e volontà per andare avanti, nel momento in cui si ama la vita e si fanno ancora progetti per crescere, amare e divertirsi.
In quella macchina c’ero anche io. Come c’erano tutti gli amici e i parenti che hanno affollato la chiesa il giorno dei funerali. E in quell’incidente siamo morti tutti, una parte di noi che non tornerà più.
Ecco, quando le persone che avevo davanti ricollegavano il mio dolore con il fatto di cronaca ed empatizzavano con me, era in questo che il dolore era diverso: come riuscire a spiegargli la presenza di quel mondo? che in quella macchina c’eri anche tu? che ora ti senti come con un arto amputato? con un organo in meno?
Dietro ogni fatto di cronaca, dietro ogni nome sul giornale c’è un mondo. E con quanta superficialità noi sfogliamo le notizie e ce le ricordiamo solo per il sensazionalismo in cui vengono descritte (a proposito: cari signori giornalisti che riempite di dettagli cruenti i vostri articoli, ricordatevi sempre che fra chi vi legge ci sono anche genitori, amici e parenti, che potrebbero non apprezzare la vostra esagerata enfasi nell’elencare alcuni dettagli).
So che approfondire ciò che c’è dietro ogni fatto di cronaca sarebbe un lavoro immane e assurdo: sarebbe un carico troppo grande per la nostra sfera emotiva l’apprendere quanto dolore c’è e quante persone sono, più o meno direttamente, coinvolte in ogni evento e in come la loro vita cambia per sempre.
Questa mia esperienza personale mi ha portata a riflettere molto su questo argomento: appunto sulla differenza fra cronaca e vita privata.
Ho troppe domande che non ottengono risposta. E non saprei neanche a chi porgerle.
L’unica cosa che posso fare è ricordare tutti i momenti belli, le risate (fortunatamente tante) e il calore che avete saputo darmi. Vi regalo ogni raggio di sole, ogni stella cadente, ogni alito di vento che mi farà star bene… anche se è difficile non sentirsi in colpa di essere vivi, mentre voi non ci siete più.
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in loving memory
Paola & Dario
m
01.09.2009 at 13:48Oggi mentre fumavo solitaria ho pensato la tua stessa cosa
Sono morta
Solo che il resto del mondo non lo vede, e quindi non capisce
Io lo vedo che metto in difficoltà chi mi vede star male
Che alcuni pensano sia esagerata
Che non capiscono
Semplicemente, non capiscono
Quel maledetto giorno fra le cose inutili e folli che dicevo, dicevo anche che se esistesse un minimo di logica io mi sarai dovuta svegliare menomata
Non lo sono nel fisico, ma lo sono nell’anima
Scusa questo sfogo, ma ti ho letta e ci ho rivisto me
Io ero più vicina a Dario e tu a Paola, ma tutte e due amavamo entrambi come non si può smettere di fare, e amavamo l’uno anche per riflesso dell’amore dell’altro
Io non lo so quando e se ritornerò ad un briciolo di normalità
So solo che il mondo non è e non sarà mai più lo stesso
Almeno non il nostro
Nel nostro loro erano protagonisti
Ti abbraccio tanto, tanto davvero
m
bastet
01.09.2009 at 15:20anche io ti abbraccio forte…
grazie per esserti sfogata con me: mi ha dato un po’ di sollievo sapere che non solo sola a provare queste cose: il dolore è un fatto privato, ma in questi momenti la vicinanza di persone come te non può far altro che bene.
quando vuoi, sono qui :*
elf
01.09.2009 at 18:52Mi dispiace: non e’ molto, ma essendo per te uno sconosciuto non mi azzardo a scrivere “condivido il tuo dolore”. Anche questa volta ho un aneddoto.
Anni fa un mio compagno di liceo fu colpito da una slavina mentre scendeva da una montagna: i compagni di scalata ne uscirono illesi mentre lui resto’ sepolto, fortunatamente il telefonino prendeva e poterono chiamare l’elisoccorso. In meno di dieci minuti l’elicottero venne e li trasporto’ all’ospedale: sotto la neve le lastre di ghiaccio avevano martoriato il suo corpo e martellato gli organi, lui non sopravvisse.
Sveni’ ma non spiro’ subito, fra l’incidente e la morte resto’ in coma 7 giorni: il suo lento spegnersi divenne lo strazio dei famigliari e di noi compagni di scuola, che imparammo nel modo piu’ spiccio e crudele quanto la vita possa essere breve. Ho pochissimi ricordi del funerale: la chiesa di paese gremita, il prete che pronuncio’ una celebrazione dimenticata, il migliore amico che recito’ due strofe di Canzone per un’amica di Guccini.
Conobbi due giornalisti ed un fotografo che si interessarono al caso: subito dopo l’incidente contattarono alcuni compagni, ottennero delle foto personali e dei resonconti da pubblicare; nella pagina a fianco all’articolo vi erano ricostruzione ed analisi dell’evento, nei giorni seguenti si aggiunsero le interviste agli esperti, le critiche all’equipaggiamento (nessuno indossava l’Arva) ed alla imperizia tecnica (il tempo nella settimana precedente fu sereno stabile con temperature vicine allo zero, non avevano considerato il rischio dello scioglimento delle nevi).
Considerai queste accuse come polemiche sterili (“inutile discutere su quello che e’ successo, lui sta morendo”, dissi piu’ volte ad amici e conoscenti) ed odiai l’attaccamento ai dettagli non attinenti all’incidente, ai particolari intimi, alle amicizie, agli hobby.
Durante l’agonia due dei reporter entrarono nel corridoio adiacente alla stanza d’ospedale, in attesa di qualche dichiarazione o bollettino, e nel frattempo intervistarono i presenti. Mi fotografarono a mia insaputa, dell’intervista trattennero solo le affermazioni piu’ toccanti e travisarono il resto. L’epiteto piu’ gentile con cui li indirizzai fu “sciacalli”.
Il terzo intervisto’ l’intera classe dopo il funerale: fu meno spregiudicato degli altri due.
Rispondo alle tue domande:
– per condividere il dolore della morte di una persona cara, bisogna provare la sofferenza sulla propria pelle. Ricostruzioni, immedesimazioni, film distillano il dolore, ne offrono un assaggio che suscita orrore ed empatia, ma non vera compassione. Si lacrima col cervello, non si piange col cuore.
– credo che i giornalisti che ho e hai incontrato si affezionino alle vittime da cronaca nera come i macellai si affezionano agli animali che stanno per squartare. In altre parole, cercano di non provare sentimenti: se lo facessero, forse non sarebbero in grado di svolgere il loro lavoro. Non e’ una colpa ma una “protezione” del cervello: difficile preoccuparsi per qualcuno o qualcosa che non interessa, che e’ distante (sia geograficamente che sentimentalmente) e si conosce appena.
– non ho ancora capito se vi siano limiti al diritto di cronaca e, se si, quali siano: e’ giusto l’attaccamento morboso ai particolari, anche completamente ininfluenti?
– lo avranno ripetuto in tanti, lo ripeto anch’io: non provare colpa. Finche’ sei in vita, Paola e Dario resteranno nel tuo ricordo: in un certo senso, sei il loro custode e sentirsi colpevoli di essere ancora in vita contrasta questo compito.
– prenditi tempo: misuralo in mesi. Se necessario, sfogati.
elf