Copper statue of the cat goddess Bastet. Eighth to fourth centuries B.C. PHOTOGRAPH BY MARY EVANS/SCALA, FLORENCE

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Roma con gli occhi degli altri

Roma con gli occhi degli altri

Cosa manca ne La grande bellezza di Paolo Sorrentino?

Mancano i Romani.  Relegati a poche macchiette che si esprimono con espressioni tipicamente romanesche e volgari.

Cosa c’è nel film invece?
Roma.
Quella città  che vive sui fasti di tempi andati, in una sorta di pigra decadenza, come Jep Gambardella, il protagonista.
Quella Roma vuota, bellissima e astonished, che è così facile (e al tempo stesso difficile) raccontare in un film.
Una Roma svuotata della sua vita, una Roma superficiale, così come spesso viene percepita  dai romani d’adozione e non da chi ne ha preso i natali. Una Roma esotica, silenziosa, assolata, imprevedibile, morbida e vischiosa come un sogno.

Il film ne accarezza la pelle, scende fino alle ossa, ne scava gli organi interni, in una sorta  di lenta e dolcissima vivisezione. Un taglio chirurgico, asettico, dal quale non sgorga sangue.
E il tutto senza che né il regista, ne i suoi grandi interpreti siano riusciti  a carprirne l’anima.

Capisco perché questo film è risultato controverso: o lo si odia o lo si ama.
Perché Roma è così: o la si odia “massivamente” o la si ama in maniera viscerale.

 

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