#quellavoltache: carne appetibile da macello
#quellavoltache è un progetto narrativo estemporaneo per raccontare le volte in cui siamo state molestate, aggredite, ma anche le volte in cui ci siamo sentite in pericolo e non sapevamo bene perché, e ci davamo delle cretine per esserci messe in quella situazione. Perché il patriarcato che non ti crede è lo stesso che cerca di colpevolizzarti per quello che ti infligge.
Avete qualcosa da raccontare? Usate #quellavoltache su Twitter, Facebook, Instagram, il vostro blog, Medium, dove vi pare. Dite a tutti come vi siete sentite, cosa avete pensato, perché non avete parlato, e se avete parlato, cosa è successo poi.
La mia fortuna è sempre stata quella di essere una persona estremamente riservata, diffidente, sempre sulla difensiva. Alle battute sessiste sul posto di lavoro rispondevo sempre a tono, suscitando ilarità ma soprattutto rispetto da parte dei colleghi maschi (i quali, alla fine, mi consideravano un maschiaccio al pari loro).
Dal sessismo, alle molestie e al mobbing il passo è breve. E almeno per tre volte ho lasciato il posto di lavoro, pagandone personalmente le conseguenze, per non subire più determinate situazioni.
Ma quella volta che lavoravo ancora in agenzia me la ricordo bene. Come clienti avevamo grandi aziende e multinazionali, uomini in giacca e cravatta che si aggiravano nell’openspace dei creativi e per i quali dovevamo nutrire un sacro rispetto. Spesso volgari, invadenti, elementi di disturbo nelle giornate già piene di impegni e di stress di noi creativi.
È successo 20 anni fa (avevo 26 anni), e all’epoca non capivo perché uno dei miei capi assegnava sempre a me i lavori di quel cliente importante: alto, calvo, sempre sudato e viscido fino alla punta della sua cravatta. Passava ore seduto accanto alla mia postazione per correggere le più insignificanti virgole, fra gli sguardi preoccupati di colleghi e colleghe. Poi gli incontri in sala riunioni, per parlare del nulla, finché in sala riunioni non ci siamo finiti soli io e lui.
– Ma dammi del tu.
– … come le stavo dicendo Dott. N…
– Va bene, ma dammi del tu!
– … in questo schema può vedere…
– Ma lo sai che hai una treccina proprio bella?
– Qui abbiamo finito, arrivederci Dott. N.
Poi quella volta che in sala riunioni c’erano tutti i vertici e sono dovuta entrare per una comunicazione urgente al mio capo. Appena lui mi vide entrare dalla porta esclamò:
– … ah! quella treccina! che cosa ci farei!
Fra lo sgomento di tutti i partecipanti.
Anni dopo sono venuta a conoscenza che era prassi comune, di uno dei soci dell’agenzia, dare in pasto ai clienti segretarie compiacenti: cene e dopo-cena offerti per assicurarsi la fedeltà di clienti e fornitori.
Ora ho la consapevolezza che i miei aculei mi hanno salvata da una situazione estremamente sgradita, ma anche la cocente umiliazione di non esser mai stata considerata una professionista ma solo carne appetibile da macello.
Grazie a Giulia per l’hashtag #quellavoltache.
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