L’omologazione di un pesce fuor d’acqua
Insomma, io ero quello che scriveva su di un blog, che lanciava brevi messaggi via twitter, che condivideva link e contenuti, che si relazionava con persone affini per interesse anche se quelle persone mai le aveva conosciute di persona.
Il problema all’epoca non sorgeva tanto nello spiegare cosa facevo, ma più che altro su cosa lo facevo, sui mezzi (media) che utilizzavo, e soprattutto, cosa ancora più enigmatica per molti di loro: perché lo facevo? Cosa mi spingeva a investire tempo che avrei potuto dedicare ad altro e ad altri ‘reali’? Cosa me ne veniva indietro, non certo denaro? E allora? Allora la spiegazione che mi veniva più spontanea era quella di una sorta di baratto: io voglio dare qualcosa, e ricevo qualcosa alla pari e al contempo mi relaziono con persone affini. Ci guadagnavo un’espansione dei miei punti di vista e della mia conoscenza. Suona molto primitivo e forse pure fuorviante, lo so, ma all ’epoca non avrei saputo come spiegarlo in altro modo.
[…]
E il loro apparente snobbismo mi urtava.
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Poi è successo qualcosa, è successo che spontaneamente qualche domanda hanno cominciato a farmela, a chiedermi cosa era quello e come funzionava questo.
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e io piano piano sono tornato inevitabilmente normale ai loro occhi. La mia e la loro onda se non altro si sono avvicinate nella loro velocità di propagazione, pur con le dovute e necessarie differenze. E uno degli specchi attraverso cui si guarda il riflesso del mondo è divenuto comune a tutti. E voi?
… e a me è successa la stessa cosa, ma non solo con la rete, ma con la scelta della mia professione 20 anni fa (“la grafica? ma iscriviti a lettere e non perdere tempo…”), con il computer acquistato per lavorare (“il mac? ma non ha tutti i giochini di windows…”), con la fotografia (“che *** è la lomografia? perché usi queste cose di plastica? comprati una reflex e fai la seria, dai…”).
Sempre ai margini, sempre considerata quella strana, quella “diversa”: la sensazione di essere un pesce fuori dal suo ambiente, senza sapere neanche quale sia il suo vero ambiente, e scoprire che ormai tutti l’hanno trovato per me, e l’hanno fatto proprio.
Trovare qualcuno che è riuscito a descriverlo a parole è un bellissimo regalo per me. E’ tutto quello che non sono mai riuscita a dire, forse per troppo rispetto o troppa insicurezza…
Buongiorno…
Ivanet
05.02.2010 at 10:12Un bellissimo post che sto per retwittare in un attimo.
Vero.. Verissimo… siamo pesci.. pesci di plastica che con il nostro nuotare “strano” mostriamo squame colorate che i “turisti” vogliono vedere. Un po’ come in una danza ammiccante senza secondi fini.. NOI, grafici di oggi e..se tutto va bene.. pesci nel grande mare del domani.
… complimenti, davvero sentiti.
bastet
05.02.2010 at 11:41grazie…:D
ma il post non è mio… ;)
ho solo trovato qualcuno che è riuscito a descrivere la frustrazione che da anni mi porto dentro…
elena
05.02.2010 at 19:19Io resto tutt’ora pesce fuor d’acqua ma purtroppo sono in debito d’ossigeno e non ho squame colorate, almeno non del tipo che attira turisti.
Economista tra i letterati, letterata tra i politologhi, politicante tra gli artisti, webbista tra gli analfabeti di internet e dilettante tra i geeks e così via, sempre spostata di quello che basta per sentirmi comodamente a disagio.